Suono un bel saxofono d’argento di Arianna Sacerdoti
“È forte pioggia di mille stagioni / nella finestra che trascura Napoli / e batte il legno una mano antica / con cifra modica, ritmica, satanica. / Prima del colle si dispiana il mare, / e sono goccia interna col sorriso. / Mi raffiguro in quadri di mio padre, / anni su anni, anime di sguardi.” (Arianna Sacerdoti, Quadri, 2005)
Complice, ironico, pudico, appassionato, compagno di sapienza giocosa e di profondità. Questo e molto altro è stato Guido Sacerdoti come padre, figura che ha seguito la mia identità in crescita non solo de visu ma anche, come testimonia il quadro “Arianna e la pineta”, 2005 (che in anni non lontani mi ha detto di volermi lasciare “come eredità spirituale” dopo la sua morte), quasi proteggendomi le spalle in un gioco di specchi che vedeva me dipingere davanti a lui nel tempo eterno di un pomeriggio d’estate.
Accanto alla cifra sempre fonda e psicoanaliticamente ricca del dolce rapporto affettivo che ci ha legati (padre e figlia femmina), sconfinati sono anche i miei debiti verso di lui sul piano intellettuale, creativo, di interessi e aperture alle molteplici dimensioni della vita. La musica coltivata da noi e da lui stesso, la poesia, la politica, l’amore per la natura e per la comunicazione profonda sono passioni e tratti della mia identità che mi collegano alla sua, inestricabilmente.
Leggeva a me e a mio fratello, ancora bambini, l’Ulisse di Joyce, e contemporaneamente collaborava all’allestimento di recite tratte da commedie che scrivevo di mio pugno; ha introdotto nella nostra famiglia l’Haiku, forma di poesia breve di origine giapponese (5-7-5 sillabe), inaugurando così una vera e propria tradizione familiare che si è tradotta in biglietti di auguri, sms, fino a sfociare, per me, in una forma di lavoro ufficiale nell’ambito dell’insegnamento della scrittura creativa nelle scuole, in pubblicazioni, nella partecipazione alla Giuria del Premio internazionale di Haiku “Cascina Macondo”. Quando ho iniziato a imparare il tango, ho sempre ricordato che uno dei suoi sogni non realizzati era quello di apprendere una danza “per davvero” (perché gli piaceva ballare, ma non possedeva codici). Molto leggeva, anche scriveva, era una perfetta guida alle mostre di pittura. A me, studentessa e poi Ricercatrice di Lettere, il padre medico umanista ha sempre offerto stimoli di confronto, ispirazione, pur nella diversificazione degli interessi principali che mi vedevano “erede” piuttosto di una nonna materna insegnante di latino e di greco. Nel 2008 ha scritto e pubblicato una Prefazione al mio libro di poesie “Sentieri diversi” (Napoli, Albus ed. 2008), avendomi preliminarmente aiutato a scegliere le poesie per la silloge tra le moltissime inedite. Nella breve ma intensa esperienza di politica universitaria che ci ha visti battagliare contro i tagli di Tremonti e la Legge voluta dal Ministro Gelmini, ho fatto anch’io, nel mio piccolo, il Sessantotto che ho sempre ascoltato raccontare, idealizzandolo, da mio padre e mia madre.
Cantava Paolo Conte, in Eden, un pezzo straordinariamente amato da Guido: “Solo in un silenzio penso a niente / e voglio solo te / padre emozionato ed entusiasta / che ti specchi in me. / Solo contro niente mi accontento / e non mi annoio mai, / suono un bel saxofono d’argento / e non mi sbaglio mai (…) / Ho cercato per tutto il Paradiso / la quota dove sta il tuo sorriso”. Il suo saxofono, il suo sorriso che vedo ormai solo in sogno, sono la cifra che mi lega per la vita e in maniera incommensurabile al “padre emozionato ed entusiasta” che mi ha sempre invitata a godere dell’arrivo della primavera e a interessarmi al multiforme universo dell’arte, del sapere, della vita.
Arianna Sacerdoti
[email protected]
Sonetto (a mio padre)
Il senso della morte solo piano
s’insinua in pomeriggio. È quasi inverno.
La luce si scompagina di fuori
e non riesco a pensarti non più eterno.
Nel libro che ora nasce i miei bagliori
uniti a depressione. La tua mano
tenevo in ospedale. Gesto vano.
Compongo per aver nuovi lettori.
La stasi di domenica e i miei versi
ricordano altro tempo e le conquiste
di una bimba scrittrice, entusiasta,
filigrana che torna, frammiste
memorie di un bel gioco con la pasta
di pizza e un padre complice che assiste.
Napoli, domenica 1 dicembre 2013
“È forte pioggia di mille stagioni / nella finestra che trascura Napoli / e batte il legno una mano antica / con cifra modica, ritmica, satanica. / Prima del colle si dispiana il mare, / e sono goccia interna col sorriso. / Mi raffiguro in quadri di mio padre, / anni su anni, anime di sguardi.” (Arianna Sacerdoti, Quadri, 2005)
Complice, ironico, pudico, appassionato, compagno di sapienza giocosa e di profondità. Questo e molto altro è stato Guido Sacerdoti come padre, figura che ha seguito la mia identità in crescita non solo de visu ma anche, come testimonia il quadro “Arianna e la pineta”, 2005 (che in anni non lontani mi ha detto di volermi lasciare “come eredità spirituale” dopo la sua morte), quasi proteggendomi le spalle in un gioco di specchi che vedeva me dipingere davanti a lui nel tempo eterno di un pomeriggio d’estate.
Accanto alla cifra sempre fonda e psicoanaliticamente ricca del dolce rapporto affettivo che ci ha legati (padre e figlia femmina), sconfinati sono anche i miei debiti verso di lui sul piano intellettuale, creativo, di interessi e aperture alle molteplici dimensioni della vita. La musica coltivata da noi e da lui stesso, la poesia, la politica, l’amore per la natura e per la comunicazione profonda sono passioni e tratti della mia identità che mi collegano alla sua, inestricabilmente.
Leggeva a me e a mio fratello, ancora bambini, l’Ulisse di Joyce, e contemporaneamente collaborava all’allestimento di recite tratte da commedie che scrivevo di mio pugno; ha introdotto nella nostra famiglia l’Haiku, forma di poesia breve di origine giapponese (5-7-5 sillabe), inaugurando così una vera e propria tradizione familiare che si è tradotta in biglietti di auguri, sms, fino a sfociare, per me, in una forma di lavoro ufficiale nell’ambito dell’insegnamento della scrittura creativa nelle scuole, in pubblicazioni, nella partecipazione alla Giuria del Premio internazionale di Haiku “Cascina Macondo”. Quando ho iniziato a imparare il tango, ho sempre ricordato che uno dei suoi sogni non realizzati era quello di apprendere una danza “per davvero” (perché gli piaceva ballare, ma non possedeva codici). Molto leggeva, anche scriveva, era una perfetta guida alle mostre di pittura. A me, studentessa e poi Ricercatrice di Lettere, il padre medico umanista ha sempre offerto stimoli di confronto, ispirazione, pur nella diversificazione degli interessi principali che mi vedevano “erede” piuttosto di una nonna materna insegnante di latino e di greco. Nel 2008 ha scritto e pubblicato una Prefazione al mio libro di poesie “Sentieri diversi” (Napoli, Albus ed. 2008), avendomi preliminarmente aiutato a scegliere le poesie per la silloge tra le moltissime inedite. Nella breve ma intensa esperienza di politica universitaria che ci ha visti battagliare contro i tagli di Tremonti e la Legge voluta dal Ministro Gelmini, ho fatto anch’io, nel mio piccolo, il Sessantotto che ho sempre ascoltato raccontare, idealizzandolo, da mio padre e mia madre.
Cantava Paolo Conte, in Eden, un pezzo straordinariamente amato da Guido: “Solo in un silenzio penso a niente / e voglio solo te / padre emozionato ed entusiasta / che ti specchi in me. / Solo contro niente mi accontento / e non mi annoio mai, / suono un bel saxofono d’argento / e non mi sbaglio mai (…) / Ho cercato per tutto il Paradiso / la quota dove sta il tuo sorriso”. Il suo saxofono, il suo sorriso che vedo ormai solo in sogno, sono la cifra che mi lega per la vita e in maniera incommensurabile al “padre emozionato ed entusiasta” che mi ha sempre invitata a godere dell’arrivo della primavera e a interessarmi al multiforme universo dell’arte, del sapere, della vita.
Arianna Sacerdoti
[email protected]
Sonetto (a mio padre)
Il senso della morte solo piano
s’insinua in pomeriggio. È quasi inverno.
La luce si scompagina di fuori
e non riesco a pensarti non più eterno.
Nel libro che ora nasce i miei bagliori
uniti a depressione. La tua mano
tenevo in ospedale. Gesto vano.
Compongo per aver nuovi lettori.
La stasi di domenica e i miei versi
ricordano altro tempo e le conquiste
di una bimba scrittrice, entusiasta,
filigrana che torna, frammiste
memorie di un bel gioco con la pasta
di pizza e un padre complice che assiste.
Napoli, domenica 1 dicembre 2013