Guido ancora c'è di Guglielmo Scala
Ricordo di Guglielmo Scala nell'ambito dell'evento "BUON COMPLEANNO GUIDO!" tenutosi il 1 giugno 2023 presso la Fondazione Valenzi, Napoli
Carlo mi ha chiamato un giorno per dirmi di questa sua iniziativa ai 10 anni dalla scomparsa del padre. Credevo fosse un invito a esserci, a essere presente, il che già sarebbe stato un onore ma no, lui voleva proprio che io intervenissi, che portassi un mio ricordo. La cosa mi ha fatto piacere ma al tempo stesso mi ha preoccupato. Il fatto è che io ho un problema, con Guido. Non riesco a parlarne senza commuovermi. Perché? Non lo so. O forse lo so. Nei miei quasi 70 anni, come a tutti noi, mi è purtroppo capitato tante volte di veder mancare persone care, a volte sono stati eventi giustificati dall’anagrafe, tante altre volte invece no. E mi capita di parlar di loro, e ricordare le avventure, i momenti belli, quelli meno, insomma il carico di esperienze condivise, e sono triste, sì, ma senza che questo faccia di me un salice piangente.
Ora, invece, se in una conversazione qualsiasi, al lavoro, negli incontri con i colleghi o ovunque sia, si nomina Guido, ecco che mi si inumidiscono gli occhi, mi si spezza la voce, insomma devo chiudere! Un disastro.
Per questo motivo, non sentendomi sicuro di me, ho messo nero su bianco alcune riflessioni, fidando di riuscire a fare, leggendo, ciò che, parlando a braccio, tante volte già mi ha visto fallire miseramente. Perciò leggo.
Qui, oggi, ci sono molti di voi che l’hanno conosciuto assai meglio di me, persone che, a differenza di me, possono dire di aver condiviso con Guido e Marcella percorsi lunghi, amiche e amici veri. Io no, in effetti il nostro rapporto è stato breve. Potrei, sì, parlare di quando correvamo insieme e passava sotto casa mia a via Manzoni verso il parco Virgiliano e di come mi ha letteralmente trascinato a migliorarmi fino al punto poter fare anch’io una (mezza) maratona. Di quando mi ha portato a vedere le sue pitture murali in quella discoteca a Torre Cervati, il B.Out. Si era portato le chiavi apposta, quella mattina. Si divertiva come un matto.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Vorrei solo provare a dire, in poche parole, cosa abbia significato per me, un po’ più giovane come età ma molto più giovane come esperienza professionale in allergologia, la figura di Guido Sacerdoti come medico.
Per me Guido è stato ed ancora è un modello di sintesi tra quella che chiamiamo medicina narrativa e medicina basata sulle evidenze (EBM). Nei prossimi minuti cercherò di spiegarmi meglio.
Pensando a questo intervento mi è tornato alla mente il concetto di Nonluogo, creato dal filosofo francese Marc Augé. In un suo libro del ’92 Augè definisce il concetto di nonluogo come di quello spazio in cui si è persa la dimensione del rapporto umano reale. Sono spazi in cui accadono cose non appartenenti ad alcuno in maniera specifica. Sono nonluoghi gli aeroporti, le autostrade e i loro svincoli, i centri commerciali. Ma anche gli ascensori o i campi profughi e gli esempi potrebbero continuare. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. I nonluoghi si contrappongono ai “luoghi antropologici”, che si caratterizzano invece per la specificità e profondità del rapporto tra esseri umani. Nel nonluogo si seguono indicazioni collettive, che valgono per ciascuno indipendentemente da chi sia. Vietato fumare, Tenere la destra, Non oltrepassare la linea gialla.
Il concetto di nonluogo è strettamente connesso a quello di Surmodernità, in cui la società si struttura intorno a degli eccessi. Eccesso di tempo ed eccesso di spazio in cui il vertiginoso aumento della quantità e densità di informazioni che ci investono e la possibilità di spostamenti sempre più veloci in un pianeta sempre più piccolo non fa altro che accrescere esponenzialmente il nonluogo rispetto al luogo antropologico. Intendiamoci: nonluogo non è una brutta parola né una brutta cosa. E’ una necessità ineludibile della nostra vita sociale e anzi nel nonluogo troviamo risposte sempre più precise, puntuali, verificabili alle nostre incertezze. Dobbiamo frequentarlo. Nel nonluogo perdiamo qualcosa ma prendiamo qualcos’altro.
Bene. La medicina è uno specchio fedele della società. Ecco perché ve ne parlo. Proprio in questa occasione. La Surmodernità ha stravolto l’apprendimento e l’aggiornamento scientifico. Un tempo la guida alla buona pratica medica la si cercava in pochi libri di testo, sempre gli stessi, che venivano aggiornati e ristampati ogni 3 – 4 anni. Chi non se lo poteva permettere veniva a fotocopiarsi interi capitoli. Tutti studiavamo così. Oggi l’accesso alle sconfinate banche dati che raccolgono tutte pubblicazioni scientifiche, come PubMed, ha segnato la scomparsa di quel mondo e ha segnato l’ascesa di quella che è chiamata Medicina Basata sulle Evidenze, l’EBM.
Nessuno compra più le ultime edizioni del Middleton’s Textbook of Allergology and Clinical Immunology mentre tutti siamo abbonati a PubMed.
E’ stato questo un vantaggio, decenni dopo? In estrema sintesi, sì, certo. La possibilità di critica, il pluralismo delle idee, il non affidarsi ciecamente e supinamente alle opinioni di un esperto, che per quanto autorevole poteva comunque tendere a privilegiare le proprie convinzioni, è un modo efficace per sfrondare il campo da tutta una serie di affermazioni caotiche non suffragate da un percorso scientifico adeguato. Dal “far west scientifico” si è approdati ad una medicina condivisa.
Bene, benissimo.
A questo proposito vi racconto una cosa. Circa venti anni fa, all’esordio di questa rivoluzione tecnologica, non era poi tanto facile scaricarsi un articolo scientifico. Ogni singolo articolo di appena 3 – 4 pagine era venduto online al prezzo di diverse decine di dollari. Molti tra noi trovavano questo profondamente ingiusto. Con Guido abbiamo parlato varie volte di questo argomento. Era ingiusto davvero. Quei lavori, quegli studi, noi in un certo senso li avevamo già pagati o attraverso le tasse nel caso di studi finanziati dallo stato o attraverso il prezzo del farmaco, nel caso di finanziamenti industriali. E ora volevano farceli ripagare. Nell’indice di tutte le riviste accanto ad ogni titolo, ad ogni articolo c’era il simbolo di un maledetto lucchettino chiuso. Pagare per leggere! Alcuni smanettoni amici miei mi spiegarono come “bucare” i siti delle maggiori case editrici e scaricare abusivamente gli articoli. Passai paro paro l’informazione a Guido. Come raccontare la sua felicità quando gli spiegai tutto. Quando finalmente ci riuscì non gli sembrava vero. Quando gli si aprì la prima volta la pagina della rivista con l’indice degli articoli e tutti i lucchettini chiusi erano diventati dei lucchettini aperti mi telefonò entusiasta. Una Pasqua. Furono mesi assai divertenti.
Dicevamo come la Surmodernità applicata alla letteratura scientifica abbia determinato l’avvento della Medicina Basata sulle Evidenze (EBM). L’EBM, a sua volta, ha partorito le Linee Guida, recinto sempre più stretto in cui il medico è tenuto ad agire.
E tuttavia, rincresce ammetterlo, restano tante zone d’ombra. Le riviste sono troppe, migliaia e migliaia di articoli sono pubblicati ogni giorno e non per tutti la revisione critica riesce ad essere efficace. Le evidenze sono la sintesi di studi talora in contraddizione tra loro, quando non addirittura conflittuali. I conflitti di interesse sono lì, clamorosi, sotto gli occhi di tutti. l’EBM è una gran cosa, ma non esente da critiche.
Tornando ai concetti di nonluogo/luogo antropologico in campo medico, mi arrischio ad affermare che il Middleton’s Textbook of Allergology and Clinical Immunology era (ed ancora è per chi lo frequenta) un “luogo”. La presenza nella propria biblioteca del Middleton caratterizzava gli allergologi, così come quella del Nelson caratterizzava i pediatri e così via. La Surmodernità si è invece tradotta in PubMed, un tipico “nonluogo” in cui si riversano ogni anno milioni di articoli destinati a milioni di utenti, disciplinati, anonimi. PubMed ci rende trasparenti.
Veniamo a noi, e a Guido. Perché vi racconto tutto ciò che ai non medici può sembrare tedioso. Perché quanto più le Linee Guida hanno determinato il nostro comportamento tanto più quest’ultimo si è spersonalizzato e deresponsabilizzato. Anche la medicina legale ha indirizzato in questa direzione. In caso di contestazioni, se ti sei attenuto alle Linee Guida sei nel giusto. Se no, no.
Il rischio, reale, realissimo, è che ciascuno di noi dia sempre meno peso alle proprie esperienze professionali personali. Che il proprio sentire venga sacrificato sull’altare delle Evidenze, impersonali e infallibili. Il solo termine “esperienza personale” è blasfemo in un contesto rigorosamente EBM.
Questo non va bene. Secondo me non è la cosa giusta. Per quanto la scienza provi a darci delle certezze ogni atto medico è sempre il frutto di una magica e misteriosa alchimia tra medico e paziente. Ogni rapporto è una storia a sé. Ogni persona che vediamo ha le sue unicità e noi stessi ci poniamo in maniera diversa di volta in volta quando interagiamo con persone diverse. La base della medicina narrativa.
Di cosa ci sarebbe bisogno, allora? Ecco, il mio parere è che la migliore approssimazione possibile ad una irraggiungibile perfezione la si può trovare nella sintesi tra l’obbedienza scrupolosa alle Linee Guida e il rispetto dei propri convincimenti, frutto, a loro volta di una esperienza sempre crescente nel tempo, maturata sul campo.
Il medico deve studiare, deve conoscere la letteratura, deve seguire l’evoluzione del pensiero scientifico, deve ovviamente conoscere a fondo le Linee Guida inerenti alla sua specialità ma guai ad abbandonare la fiducia in sé, a trascurare gli insegnamenti dei propri maestri.
Insomma, non è facile.
Guido Sacerdoti è stato, a mia conoscenza, il più alto rappresentante di questa sintesi. Al rigore metodologico, alla profonda preparazione scientifica, a cui lui ha peraltro collaborato con tanta produzione originale, Guido, in ogni sua ricetta, ha sempre aggiunto parte di sé. Ogni ricetta di Guido parla del paziente ammalato e bisognoso ma al tempo stesso parla molto anche del suo dottore. Molti ambienti medici sono oggi dei nonluogo. Posso dire che ovunque Guido abbia lavorato, nel suo reparto all’Università, come nel suo studio a via Cimarosa, è sempre riuscito a creare intorno a sé, un “luogo”.
Guido è stato un luminoso e carissimo esempio di quanto la medicina sia Arte, oltre che Scienza.
Io non so se posso fregiarmi del titolo di suo Amico. Quello che so è che io l’ho eletto (a sua insaputa e non sono certo di quanto sarebbe d’accordo – ma spero di sì) a “faro” nella conduzione della mia professione e del mio modo di fare il medico. Della mia via alla medicina.
Ogni volta che mi sono trovato a parlare a un congresso con Guido in aula, ogni volta, alla fine, durante gli ineludibili applausi di cortesia, incontravo il suo sguardo e cercavo il suo sorriso di approvazione. Alla fine era l’unico di cui mi importasse davvero.
Ecco, alla fine forse lo so perché mi è ancora e sempre difficile, dieci anni dopo, parlare di Guido senza un coinvolgimento emotivo. La ragione forse è questa. Perché, a differenza di molti, Guido per me è ancora lì, il mio dialogo con lui non si è interrotto, partecipa alla mia giornata, interviene nelle mie scelte. Quello che mi commuove non è la sua assenza, è la sua presenza.
Eccomi dunque a ricordare e celebrare Guido Sacerdoti che c’è stato e ancora c’è.
Un esempio della scienza applicata ai rapporti umani.
Una rara e preziosa sintesi tra “luogo” e “nonluogo”, tra EBM e medicina narrativa.
Grazie a te, Guido, grazie a Carlo, grazie a tutti voi.
Ricordo di Guglielmo Scala nell'ambito dell'evento "BUON COMPLEANNO GUIDO!" tenutosi il 1 giugno 2023 presso la Fondazione Valenzi, Napoli
Carlo mi ha chiamato un giorno per dirmi di questa sua iniziativa ai 10 anni dalla scomparsa del padre. Credevo fosse un invito a esserci, a essere presente, il che già sarebbe stato un onore ma no, lui voleva proprio che io intervenissi, che portassi un mio ricordo. La cosa mi ha fatto piacere ma al tempo stesso mi ha preoccupato. Il fatto è che io ho un problema, con Guido. Non riesco a parlarne senza commuovermi. Perché? Non lo so. O forse lo so. Nei miei quasi 70 anni, come a tutti noi, mi è purtroppo capitato tante volte di veder mancare persone care, a volte sono stati eventi giustificati dall’anagrafe, tante altre volte invece no. E mi capita di parlar di loro, e ricordare le avventure, i momenti belli, quelli meno, insomma il carico di esperienze condivise, e sono triste, sì, ma senza che questo faccia di me un salice piangente.
Ora, invece, se in una conversazione qualsiasi, al lavoro, negli incontri con i colleghi o ovunque sia, si nomina Guido, ecco che mi si inumidiscono gli occhi, mi si spezza la voce, insomma devo chiudere! Un disastro.
Per questo motivo, non sentendomi sicuro di me, ho messo nero su bianco alcune riflessioni, fidando di riuscire a fare, leggendo, ciò che, parlando a braccio, tante volte già mi ha visto fallire miseramente. Perciò leggo.
Qui, oggi, ci sono molti di voi che l’hanno conosciuto assai meglio di me, persone che, a differenza di me, possono dire di aver condiviso con Guido e Marcella percorsi lunghi, amiche e amici veri. Io no, in effetti il nostro rapporto è stato breve. Potrei, sì, parlare di quando correvamo insieme e passava sotto casa mia a via Manzoni verso il parco Virgiliano e di come mi ha letteralmente trascinato a migliorarmi fino al punto poter fare anch’io una (mezza) maratona. Di quando mi ha portato a vedere le sue pitture murali in quella discoteca a Torre Cervati, il B.Out. Si era portato le chiavi apposta, quella mattina. Si divertiva come un matto.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Vorrei solo provare a dire, in poche parole, cosa abbia significato per me, un po’ più giovane come età ma molto più giovane come esperienza professionale in allergologia, la figura di Guido Sacerdoti come medico.
Per me Guido è stato ed ancora è un modello di sintesi tra quella che chiamiamo medicina narrativa e medicina basata sulle evidenze (EBM). Nei prossimi minuti cercherò di spiegarmi meglio.
Pensando a questo intervento mi è tornato alla mente il concetto di Nonluogo, creato dal filosofo francese Marc Augé. In un suo libro del ’92 Augè definisce il concetto di nonluogo come di quello spazio in cui si è persa la dimensione del rapporto umano reale. Sono spazi in cui accadono cose non appartenenti ad alcuno in maniera specifica. Sono nonluoghi gli aeroporti, le autostrade e i loro svincoli, i centri commerciali. Ma anche gli ascensori o i campi profughi e gli esempi potrebbero continuare. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. I nonluoghi si contrappongono ai “luoghi antropologici”, che si caratterizzano invece per la specificità e profondità del rapporto tra esseri umani. Nel nonluogo si seguono indicazioni collettive, che valgono per ciascuno indipendentemente da chi sia. Vietato fumare, Tenere la destra, Non oltrepassare la linea gialla.
Il concetto di nonluogo è strettamente connesso a quello di Surmodernità, in cui la società si struttura intorno a degli eccessi. Eccesso di tempo ed eccesso di spazio in cui il vertiginoso aumento della quantità e densità di informazioni che ci investono e la possibilità di spostamenti sempre più veloci in un pianeta sempre più piccolo non fa altro che accrescere esponenzialmente il nonluogo rispetto al luogo antropologico. Intendiamoci: nonluogo non è una brutta parola né una brutta cosa. E’ una necessità ineludibile della nostra vita sociale e anzi nel nonluogo troviamo risposte sempre più precise, puntuali, verificabili alle nostre incertezze. Dobbiamo frequentarlo. Nel nonluogo perdiamo qualcosa ma prendiamo qualcos’altro.
Bene. La medicina è uno specchio fedele della società. Ecco perché ve ne parlo. Proprio in questa occasione. La Surmodernità ha stravolto l’apprendimento e l’aggiornamento scientifico. Un tempo la guida alla buona pratica medica la si cercava in pochi libri di testo, sempre gli stessi, che venivano aggiornati e ristampati ogni 3 – 4 anni. Chi non se lo poteva permettere veniva a fotocopiarsi interi capitoli. Tutti studiavamo così. Oggi l’accesso alle sconfinate banche dati che raccolgono tutte pubblicazioni scientifiche, come PubMed, ha segnato la scomparsa di quel mondo e ha segnato l’ascesa di quella che è chiamata Medicina Basata sulle Evidenze, l’EBM.
Nessuno compra più le ultime edizioni del Middleton’s Textbook of Allergology and Clinical Immunology mentre tutti siamo abbonati a PubMed.
E’ stato questo un vantaggio, decenni dopo? In estrema sintesi, sì, certo. La possibilità di critica, il pluralismo delle idee, il non affidarsi ciecamente e supinamente alle opinioni di un esperto, che per quanto autorevole poteva comunque tendere a privilegiare le proprie convinzioni, è un modo efficace per sfrondare il campo da tutta una serie di affermazioni caotiche non suffragate da un percorso scientifico adeguato. Dal “far west scientifico” si è approdati ad una medicina condivisa.
Bene, benissimo.
A questo proposito vi racconto una cosa. Circa venti anni fa, all’esordio di questa rivoluzione tecnologica, non era poi tanto facile scaricarsi un articolo scientifico. Ogni singolo articolo di appena 3 – 4 pagine era venduto online al prezzo di diverse decine di dollari. Molti tra noi trovavano questo profondamente ingiusto. Con Guido abbiamo parlato varie volte di questo argomento. Era ingiusto davvero. Quei lavori, quegli studi, noi in un certo senso li avevamo già pagati o attraverso le tasse nel caso di studi finanziati dallo stato o attraverso il prezzo del farmaco, nel caso di finanziamenti industriali. E ora volevano farceli ripagare. Nell’indice di tutte le riviste accanto ad ogni titolo, ad ogni articolo c’era il simbolo di un maledetto lucchettino chiuso. Pagare per leggere! Alcuni smanettoni amici miei mi spiegarono come “bucare” i siti delle maggiori case editrici e scaricare abusivamente gli articoli. Passai paro paro l’informazione a Guido. Come raccontare la sua felicità quando gli spiegai tutto. Quando finalmente ci riuscì non gli sembrava vero. Quando gli si aprì la prima volta la pagina della rivista con l’indice degli articoli e tutti i lucchettini chiusi erano diventati dei lucchettini aperti mi telefonò entusiasta. Una Pasqua. Furono mesi assai divertenti.
Dicevamo come la Surmodernità applicata alla letteratura scientifica abbia determinato l’avvento della Medicina Basata sulle Evidenze (EBM). L’EBM, a sua volta, ha partorito le Linee Guida, recinto sempre più stretto in cui il medico è tenuto ad agire.
E tuttavia, rincresce ammetterlo, restano tante zone d’ombra. Le riviste sono troppe, migliaia e migliaia di articoli sono pubblicati ogni giorno e non per tutti la revisione critica riesce ad essere efficace. Le evidenze sono la sintesi di studi talora in contraddizione tra loro, quando non addirittura conflittuali. I conflitti di interesse sono lì, clamorosi, sotto gli occhi di tutti. l’EBM è una gran cosa, ma non esente da critiche.
Tornando ai concetti di nonluogo/luogo antropologico in campo medico, mi arrischio ad affermare che il Middleton’s Textbook of Allergology and Clinical Immunology era (ed ancora è per chi lo frequenta) un “luogo”. La presenza nella propria biblioteca del Middleton caratterizzava gli allergologi, così come quella del Nelson caratterizzava i pediatri e così via. La Surmodernità si è invece tradotta in PubMed, un tipico “nonluogo” in cui si riversano ogni anno milioni di articoli destinati a milioni di utenti, disciplinati, anonimi. PubMed ci rende trasparenti.
Veniamo a noi, e a Guido. Perché vi racconto tutto ciò che ai non medici può sembrare tedioso. Perché quanto più le Linee Guida hanno determinato il nostro comportamento tanto più quest’ultimo si è spersonalizzato e deresponsabilizzato. Anche la medicina legale ha indirizzato in questa direzione. In caso di contestazioni, se ti sei attenuto alle Linee Guida sei nel giusto. Se no, no.
Il rischio, reale, realissimo, è che ciascuno di noi dia sempre meno peso alle proprie esperienze professionali personali. Che il proprio sentire venga sacrificato sull’altare delle Evidenze, impersonali e infallibili. Il solo termine “esperienza personale” è blasfemo in un contesto rigorosamente EBM.
Questo non va bene. Secondo me non è la cosa giusta. Per quanto la scienza provi a darci delle certezze ogni atto medico è sempre il frutto di una magica e misteriosa alchimia tra medico e paziente. Ogni rapporto è una storia a sé. Ogni persona che vediamo ha le sue unicità e noi stessi ci poniamo in maniera diversa di volta in volta quando interagiamo con persone diverse. La base della medicina narrativa.
Di cosa ci sarebbe bisogno, allora? Ecco, il mio parere è che la migliore approssimazione possibile ad una irraggiungibile perfezione la si può trovare nella sintesi tra l’obbedienza scrupolosa alle Linee Guida e il rispetto dei propri convincimenti, frutto, a loro volta di una esperienza sempre crescente nel tempo, maturata sul campo.
Il medico deve studiare, deve conoscere la letteratura, deve seguire l’evoluzione del pensiero scientifico, deve ovviamente conoscere a fondo le Linee Guida inerenti alla sua specialità ma guai ad abbandonare la fiducia in sé, a trascurare gli insegnamenti dei propri maestri.
Insomma, non è facile.
Guido Sacerdoti è stato, a mia conoscenza, il più alto rappresentante di questa sintesi. Al rigore metodologico, alla profonda preparazione scientifica, a cui lui ha peraltro collaborato con tanta produzione originale, Guido, in ogni sua ricetta, ha sempre aggiunto parte di sé. Ogni ricetta di Guido parla del paziente ammalato e bisognoso ma al tempo stesso parla molto anche del suo dottore. Molti ambienti medici sono oggi dei nonluogo. Posso dire che ovunque Guido abbia lavorato, nel suo reparto all’Università, come nel suo studio a via Cimarosa, è sempre riuscito a creare intorno a sé, un “luogo”.
Guido è stato un luminoso e carissimo esempio di quanto la medicina sia Arte, oltre che Scienza.
Io non so se posso fregiarmi del titolo di suo Amico. Quello che so è che io l’ho eletto (a sua insaputa e non sono certo di quanto sarebbe d’accordo – ma spero di sì) a “faro” nella conduzione della mia professione e del mio modo di fare il medico. Della mia via alla medicina.
Ogni volta che mi sono trovato a parlare a un congresso con Guido in aula, ogni volta, alla fine, durante gli ineludibili applausi di cortesia, incontravo il suo sguardo e cercavo il suo sorriso di approvazione. Alla fine era l’unico di cui mi importasse davvero.
Ecco, alla fine forse lo so perché mi è ancora e sempre difficile, dieci anni dopo, parlare di Guido senza un coinvolgimento emotivo. La ragione forse è questa. Perché, a differenza di molti, Guido per me è ancora lì, il mio dialogo con lui non si è interrotto, partecipa alla mia giornata, interviene nelle mie scelte. Quello che mi commuove non è la sua assenza, è la sua presenza.
Eccomi dunque a ricordare e celebrare Guido Sacerdoti che c’è stato e ancora c’è.
Un esempio della scienza applicata ai rapporti umani.
Una rara e preziosa sintesi tra “luogo” e “nonluogo”, tra EBM e medicina narrativa.
Grazie a te, Guido, grazie a Carlo, grazie a tutti voi.